«Dei 38 casi che abbiamo monitorato, due uomini e una donna erano atipici, nel senso che il virus è stato rilevato continuamente nel loro corpo per più di 70 giorni», spiega Marielton dos Passos Cunha, primo autore dell’articolo che è stato pubblicato nella rivista scientifica ‘Frontiers of Medicine’. Nello specifico, l’uomo ha avuto il Coronavirus da aprile a novembre 2020, dopodiché è risultato negativo tre volte al test. Si tratta di un paziente con Hiv dal 2018.
«Il fatto che sia sieropositivo all’Hiv non significa che sia più suscettibile ad altre infezioni, dal momento che è stato in terapia da quando gli è stata diagnosticata. La sua capacità di rispondere all’infezione da un altro agente è paragonabile a quella di qualsiasi altro individuo, e infatti ha risposto al coronavirus quando è stato infettato. Non è immunodepresso, come i malati di cancro, le persone con malattie autoimmuni o i trapiantati, ad esempio», spiega Paola Minoprio, una delle responsabili del lavoro.
Secondo i ricercatori, quindi, la durata della sua infezione non dipende dalla sua condizione di sieropositivo. Molti pazienti sono stati contemporaneamente infetti da Hiv e Sars-CoV-2 e dovrebbero essere confrontati con un gruppo di controllo adatto per vedere se eventuali tratti genetici o immunitari potrebbero essere associati a un contagio prolungato.
Il paziente è stato sottoposto a test settimanali che hanno rilevato la persistenza dell’infezione. Il paziente è stato infettato dal ceppo B.1.1.28, chiamato anche P1 (o variante Gamma) entrato in Brasile all’inizio del 2020.