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la Repubblica (Itália) online

Un laser ha mappato i buchi nella foresta Amazzonica. "Alberi con mortalità più elevata" (29 notícias)

Publicado em 14 de abril de 2021

Mappati i “vuoti” nella vegetazione del “polmone verde” del Pianeta, grazie a un innovativo metodo che sfrutta il sorvolo aereo con uno strumento laser. Tra le cause la “frontiera” della deforestazione, suoli molto fertili e scarsità di acqua

Nell’epoca in cui la variabile più conosciuta per misurare la febbre del nostro Pianeta è la quantità di CO2 che riversiamo nell’atmosfera, e che determina quanto si alza la temperatura per l’effetto serra, e, a cascata, tutti gli effetti sul clima e sui ghiacci, bisogna trattare l’Amazzonia con molto riguardo.

Perché è la foresta pluviale più grande del mondo e un “polmone” in grado di assorbire miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno. E dato lo sfruttamento intensivo che si continua a farne, è un paziente delicato.

Un nuovo metodo di check-up è stato messo a punto dagli scienziati brasiliani dell’Istituto nazionale di Studi spaziali (Inpe), assieme a colleghi inglesi delle università di Leeds e Birmingham, usando voli aerei e uno strumento laser per mappare i “buchi”, quelle zone lasciate libere dopo la morte degli alberi oppure occupate da questi ultimi, rimasti in piedi ma senza vita.

Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, non si concentra sulla deforestazione, che pure negli ultimi anni ha ripreso a correre, ma sulla vita degli alberi e sulle cause che ne determinano la morte. I primi risultati indicano che le cause di questi “buchi” rilevati dall’alto sono per lo più da attribuire alla maggior fertilità del terreno, allo stress idrico ma anche all’uomo, cioè all’influenza delle vicine zone di sfruttamento da parte dell’uomo, lungo l’arco che interessa una particolare regione.

Scansione laser. Per mappare grandi aree solitamente si usano i satelliti. Tuttavia, il lidar (light detection and ranging) non vede attraverso le nuvole. Così i dati sono stati raccolti da oltre 600 voli aerei che hanno battuto praticamente tutte le regioni della foresta amazzonica a una definizione al suolo molto accurata, di circa un metro. La tecnologia utilizza impulsi laser e la loro risposta quando rimbalzano sulla superficie, e permette di stabilire, per esempio, l’altezza della copertura della vegetazione. E da quella, trovare i “vuoti” in zone in cui non c’è un abbattimento sistematico degli alberi, magari regolare a scacchiera, e quindi più difficilmente individuabile.

Siccità e deforestazione. Le parti in cui la mortalità delle piante sembra essere più alta, secondo i ricercatori, sono quelle occidentale e sud-oridentale dell’Amazzonia, “le più vicine all’arco di forestazione sulla frontiera agricola - sostiene l’ingegnere ambientale Ricardo Dal'Agnol, prima firma dell’articolo - le dinamiche della foresta (qui ndr) sono fino al 35% più veloci che nella parte centro orientale e il nord, con la creazione di più vuoti e mortalità degli alberi”. Una delle ragioni di questa dinamica, secondo gli esperti, riguarda la maggior fertilità del terreno. Sembra un controsenso, ma un terreno più fertile accelera la crescita e quindi anche la morte. Altre cause sono lo stress idrico, dovuto anche all’innalzamento delle temperature causato dall’effetto serra contro cui proprio l’Amazzonia è come una pompa durante un’alluvione, che toglie molta di quell’anidride carbonica che produciamo. Ma non abbastanza. Così il livello sale.

È un bilancio in rosso che andrà ribaltato, prima o poi. Una foresta danneggiata addirittura contribuisce al riscaldamento globale, piuttosto che limitarlo. In un altro studio dell’Inpe del 2020, si rilevava che alcune aree, pari a un quinto dell’Amazzonia, sono già un contributore alle emissioni: producono cioè più CO 2 di quanto riescano ad assorbirne. E tra queste c’è proprio la zona sud-orientale, individuata in questa ultima indagine.

Gli scienziati ci mettono in guardia, anche con studi come questo, che serviranno, se prodotti su periodi più lunghi, a gestire meglio le risorse verdi. Nel 2019 il Brasile, si legge nel comunicato della São Paulo Research Foundation, ha visto crescere le emissioni del 9,6%, un incremento dovuto in larga parte alla deforestazione. Mentre nel 2020, 8.500 chilometri quadrati sono stati strappati alla foresta, numeri in risalita dopo il calo registrato nel 2015 e per i quali è sotto accusa il presidente Bolsonaro. Ma non solo. A quanto pare, tra i primi importatori di prodotti per realizzare i quali i Paesi tropicali tagliano alberi, subito dopo la Cina, c’è proprio l’Europa.